giovedì

A Fobello

Era Gennaio, a Cape Town si lavorava con t - shirt a maniche corte, pantaloni comodi e capelli legati. Nessuna uniforme ad ingoffire il corpo già provato dalla calura estiva.
Quando scendeva quei tre scalini, facendo capolino tra il soffitto ribassato ed il piano seminterrato sapevo che dovevano essere all'incirca le undici. Da qualche giorno il boss diceva che avremmo dovuto pensare a provare una ricetta per fare i grissini. Noi, i due italiani.

Visto che non appariva mai con il foglio delle dosi precise, Sam snocciolò a memoria le sue: " un chilo di farina, 500 acqua, 50 lievito, 25 di sale e 50 grammi di olio".
Mise tutto sull'impastatrice serbando il sale a parte, alzando lo sguardo mi disse" ieri sera al Keerom abbiamo fatto il gazpacho".
"La mia zuppa preferita! Si, ma tu che hai lavorato a Milano chissà che versione farai!"
"E' l'originale, il mio chef ha vissuto 9 anni a Barcellona"
"Ricetta, subito!"
"Prendi sette pomodori, una manciata di datterino, mezzo cetriolo..."
"Fermo, scrivimela"ordinai
" Noo, non mi va. Di scrivere proprio non ne ho voglia"
Presi un pezzo di carta dal blocchetto delle comande ed iniziai ad annotare le sue dosi a spanne da cuoco.
Riprendemmo l'impasto dopo mezz'ora di lievitazione ed iniziammo a stirare la pasta che come fili si assotigliava con l'andamento ondulato delle nostre mani.
"Ho capito cosa voglio fare da grande" dissi ammirando l'impasto liscio ed elastico " voglio panificare"
"Dovresti conoscere Eugenio Pol"
"Sarebbe?"
"E' un grande!" continuò sfregando entrambe le mani sul malloppo di farina per dare una forma di filone. "Sta a Fobello, un cazzo di paese. Sperduto. Ci sono stato una volta a trovare un mio amico che ci ha lavorato per qualche mese. Voleva suicidarci. Tre case, alberi, forse un bar. Pol panifica per mezzo mondo, anche ristoranti stellati. Lavora da solo, non vuole nessuno. Panifica per giorni interi senza dormire, si riempirà di guaranà per stare sveglio".
"Si Sam, proprio lì voglio andare"
"Non puoi! Non vuole nessuno. Ma tu non puoi capire si fa mandare i migliori ingredienti dai quattro angoli, i cazzo di semi di carote da chissàdove, le farine precise. Per lui tutto è una ricerca".
Nel frattempo smetto di stirare filoncini, guardo l'impasto appoggiato sull'acciaio. E' bello. Penso che mi piacerebbe trovare il modo, chissà.

La mia memoria a breve termine se ne dimentica, ma l'universo mi porta a dover andare a trovare degli amici nella valle in fianco giusto l'anno successivo.

Non chiamo per sapere se questo soggetto c'è, lavora, esiste...sono fatalista. Il caso mi ha sempre portata verso la mia natura. Il mattino della partenza metto nello zaino due marmellate d'arancia fatte da me. Una per il mio amico, l'altra, mini, per qualcun'altro.
Un passaggio mi porta fino a Varallo, un tipo carino con un van mi guida verso Fobello. Nel viaggio i ragazzi al ritorno da scuola mi dicono che si fa chiamare Vulaiga. E' la neve quando scende timida ed imbianca leggermente il paesaggio. Come la farina, penso.

Scendendo dal bus, di fronte al laboratorio di Messere Pol, una telefonata inattesa mi avvisa che l'ente per cui lavoravo ha deciso di levarmi un incarico di 50 ore. Così, fulmine a ciel sereno. Inghiotto il mio dolore in solitudine, cerco un campanello da suonare, giro il perimentro della casa, ma la famiglia Pol non risponde. Dall'ingresso vedo una signora dentro ad una casetta a lato, le faccio cenno. Esce. E' bionda, dalla pelle rosea, il sorriso puerile e le scarpe da montagna sportive. Mi dice che il marito della sua socia non c'è, la macchina non è parcheggiata, dev'essere uscito.
"Io lavoro con la moglie, facciamo confetture. Se vuoi posso sentire se torna?
"No, non lo disturbi. Fate marmellate, posso venire a vedere?
Mi risponde titubante "Si, le mie figlie stanno mangiando, ma vieni pure"
"Ripasso tra mezz'ora"
Sorride "Benissimo".



Prendo la via che porta alla fine del paese, giro verso destra. Mi trovo all'inizio del bosco, due camosci saltellano lontano da me. Vicino ad un albero sopra ad un ruscello mi chiedo perché. Piango a lungo, ricevo vento fresco sulla pelle. Mi hanno levato un corso perché ho fatto un'ora di ritardo. Ingiustizia. Non me ne hanno nemmeno parlato. Hanno fatto chiamare la segretaria per avvertirmi di una decisione già presa. Soffro il cinismo, la mancanza di relazioni umane. Spesso penso che questo mondo veloce non fa per me.

Torno giù dal sentiero, noto germogli di primule gialle. Ce ne sono tante. Forse un segno, appaiono come una fenice dopo la morte invernale.

Busso nella casetta, Katia mi accoglie e racconta tutto il suo lavoro. Mi parla di restauro, difficoltà, passione duro lavoro, spezie, amicizia, acquerelli, colori, solitudine, condivisione, soddisfazione. Sono estasiata. Mi da la forza per credere che anch'io un giorno potrò vivere in un mondo fatto da me.
Tiro fuori dallo zaino quella mini marmellata in più che l'intuito mi aveva spinta a portare, gliela porgo.
Sorride. Non mi interessa se è la prima marmellata d'arance che faccio, se non ho il suo livello e le sue conoscenze. So che apprezzerà.

Mi porge un libro di ricette, mi fa scegliere una marmellata dalla credenza curata come le dispense delle nonne nelle favole.

Mi proietta in un mondo di cui ho bisogno e dimentico il mio dolore.

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